La storia della colomba pasquale

La storia della colomba pasquale

Da un grande santo irlandese al corno ducale del doge. La poco conosciuta storia della colomba pasquale

 

C’è un lungo filo che percorre diverse tappe nella storia e che unisce la verde Irlanda alla laguna veneta: un racconto che trae origine dal medioevo più lontano e che spiega com’è nata una tradizione irrinunciabile, quella della colomba pasquale.

Si comincia con il lungo viaggio di San Colombano, uno dei padri spirituali d’Europa, partito dal lontano Leister, uno dei quattro storici regni irlandesi e fattosi “pellegrino di Cristo”. Lungo la strada che lo avrebbe portato a Bobbio, sua meta finale e terra in cui sorge l’abbazia che porta il nome del grande santo, Colombano incontrò a Monza la regina Teodolinda. Al predicatore fu offerto un lauto pranzo a base di selvaggina, forse persino troppo ricco, per un periodo, quello della Quaresima, votato al digiuno. Per non rifiutare e non offendere così la regnante, Colombano benedì la carne, che si trasformò in un pezzo di pane dalla forma di colomba.

ALTRE FONTI

Una leggenda, per l’appunto. Ma le origini medioevali della colomba pasquale si rintracciano anche in altre fonti: dall’assedio di Pavia (sempre in epoca longobarda) alla nascita e allo sviluppo di Venezia, che avviene proprio nello stesso periodo. E non è un caso se uno dei dolci tipici di Venezia (e di altre città del Veneto) sia proprio la “fugassa”, la focaccia dolce che viene consumata sempre nel periodo di Pasqua (“no xè Pasqua sensa fugassa”, recita ancora oggi un proverbio).

Nel giorno della festa più importante dell’anno per tutti i cristiani, nella Venezia della Serenissima, si teneva la sfilata patrizia del Doge, con il seguito delle maggiori cariche e dell’aristocrazia. Immancabile la visita dogale al monastero di San Zaccaria, dove le monache preparavano un sontuoso banchetto. Fu proprio in questa occasione, come si racconta nel libro “Origine delle feste veneziane” di Giustina Renier Michiel, che all’epoca del doge Gradenigo, la badessa Morosini gli offrì, attingendo alla sua eredità, un corno ducale di valore straordinario, d’oro e ornato di perle. Era l’antica “corona dei dogi”, di origine bizantina, ancora più preziosa. Il pranzo non poteva che terminare con la tipica “fugassa”, per l’occasione anch’essa a forma di corno: una sagoma affusolata che può ricordare quella di una colomba.

LA COLOMBA PASQUALE MODERNA

Quanto c’è di vero? Quel che è certo è che un dolce che ricorda la colomba pasquale è sempre stato consumato in Veneto, fin dai tempi più remoti. Ed è stato un genio della pubblicità e del marketing, il veronese Dino Villani, a riproporlo in chiave moderna, con la nuova denominazione – quella di “colomba, per l’appunto” – pensata per uno dei colossi dei prodotti dolciari industriali: un’idea che negli anni ’30 conquistò il mercato, tanto da venire ampiamente copiata.

Ma la colomba non è un’esclusiva delle grandi aziende. Molte realtà artigianali portano avanti questa tradizione pasquale. Tra queste, la nostra pasticceria, coinvolgendo il laboratorio aperto oltre 15 anni fa all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, in cui lavorano detenuti impegnati a imparare un mestiere che potrà aiutarli nel reinserimento sociale. Tra i dolci che escono dalle mura del carcere, la colomba classica, così come quella a “Sapori di Sicilia”, ricca di canditi d’arancia e di scorzone di mandarino tardivo di Ciaculli, ma anche la colomba al cioccolato, ai frutti di bosco, alla “pesca e albicocca” oltre a quella senza canditi. Il tutto accanto alle uova di cioccolato, ai più piccoli “ovetti” e, per l’appunto, alla focaccia veneziana, realizzata anche secondo l’antica ricetta “al grano franto”, con chicchi macinati a bassa pressione e una pioggia di semi di girasole.


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