Le storie dei nostri chef sulla stampa

Le storie dei nostri chef sulla stampa

I nostri “chef” tornano al centro dell’attenzione della stampa.

Con due articoli, il Mattino di Padova e il Gazzettino hanno scelto di raccontare come siamo riusciti a trasformare il male in una possibilità di bene.

Il lavoro dei detenuti è un’opportunità di ricostruzione di sé, di riscoperta del valore delle cose e, in modo inaspettato, un’occasione per creare qualcosa di veramente buono per tutti. Ecco perché le testimonianze di chi vive questa esperienza in prima persona non passano inosservate.

Davor, cinquantenne croato detenuto al carcere Due Palazzi, come ha sottolineato il Mattino di Padova, aveva sempre amato cucinare e aveva pure lavorato in ristoranti italiani, senza mai acquisire una propria professionalità. Ora sforna pizze eccellenti nella nostra pizzeria di via Forcellini.

Davor

"Permettere ai detenuti di imparare un mestiere ha il duplice effetto di sostenere il singolo nel presente e di beneficiare la collettività nella prospettiva di un suo futuro ritorno nel mondo reale”

G., quarantacinquenne proveniente dal carcere di Opera, le aveva provate tutte.  Anche in carcere, occupandosi di pulizie. Una mansione, come spiega al Gazzettino, che però non prepara ad un contesto lavorativo reale. Ora, dopo un periodo di lavoro nella nostra Pasticceria, è entrato nel comparto rosticceria. E, dopo sei anni di formazione, è arrivato a gestire una squadra di quattro persone. Ottenuta la semilibertà è aiuto chef alla mensa Murialdo, per gli studenti universitari.

C’è un filo rosso che lega le storie dei nostri cuochi e pasticceri e gli articoli apparsi sulla stampa locale: si chiama imprevisto. E dimostra come l’imprevedibile opportunità di bene che si scopre nella condivisione di processi lavorativi possa portare non solo a un riconoscimento del proprio valore come persona, ma, proprio in virtù di questo, alla consapevolezza di poter creare qualcosa di buono. Anzi, di eccellente.

"Purtroppo non tutti i carcerati hanno l’opportunità di fare un’esperienza come la mia, ed è un vero peccato sotto vari punti di vista - ha spiegato Davor all’inviata del Mattino di Padova - Spero che tutte le case di reclusione possano prendere esempio da questo progetto. Permettere ai detenuti di imparare un mestiere ha il duplice effetto di sostenere il singolo nel presente e di beneficiare la collettività nella prospettiva di un suo futuro ritorno nel mondo reale”.

 

“Grazie all’opportunità che mi è stata offerta ho imparato un mestiere. Quando questo accade, una persona non pensa più a delinquere - ha voluto chiarire G. al Gazzettino - una volta uscita pensa solo a fare del bene”. E del buono, aggiungiamo noi.

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